
Il potenziale idroelettrico della RDC è la salvezza del Sudafrica?
Il progetto Grand Inga prevede la costruzione di diversi nuovi progetti idroelettrici vicino alla foce del fiume Congo (oltre alle due dighe costruite tra il 1968 e il 1982).
L’energia verrebbe esportata dal primo di questi nuovi impianti, noto come Inga 3, attraverso una delle linee di trasmissione più lunghe del mondo. Questa dovrebbe attraversare Angola, Namibia e Botswana per raggiungere il cuore economico del Sudafrica, nella provincia di Gauteng.
Il Sudafrica è interessato al potenziale di generazione di Grand Inga almeno dalla fine degli anni ’90 e nel 2013 ha firmato un accordo con la Repubblica Democratica del Congo (RDC) per ricevere elettricità dal megaprogetto. L’Integrated Resource Plan del Sudafrica – lo strumento chiave per guidare la pianificazione politica in materia di energia – prevede che il Paese importerà 2.500 MW da Inga entro il 2030. In precedenza, i funzionari hanno parlato di raddoppiare l’acquisto a 5.000 MW, pari a quasi il 10% dell’attuale capacità di generazione del Sudafrica.
Secondo quanto riportato, i due Paesi puntano ora a finalizzare un accordo entro 18 mesi. Il lavoro di ingegneria e progettazione dovrà poi essere svolto sia per Inga 3 che per la linea di trasmissione che lo accompagna, dopodiché il progetto dovrà essere finalizzato per consentire l’inizio della costruzione.
Un’altra falsa alba? Il fatto che Ramaphosa e Tshisekedi abbiano ribadito il loro entusiasmo per Inga “riflette importanti considerazioni politiche ed economiche in entrambi i Paesi”, afferma Harry Verhoeven, ricercatore senior presso il Center on Global Energy Policy della Columbia University.
Il Sudafrica beneficerebbe di un’importante nuova fonte di energia verde, mentre Tshisekedi potrebbe usare Grand Inga per generare ricavi da esportazione e posizionare la RDC come leader negli sforzi regionali per il cambiamento climatico.
Tuttavia, nonostante questi vantaggi, Verhoeven ritiene che sia “molto discutibile” che il progetto possa andare avanti. “Gli ostacoli finanziari e tecnici rimangono scoraggianti, così come le questioni di governance che da tempo assillano il progetto”, afferma.
La Banca Mondiale ha accettato di contribuire al finanziamento di Inga 3 nel 2014, ma si è tirata indietro due anni dopo, citando eufemisticamente le preoccupazioni per la “direzione strategica” in cui il governo congolese stava portando il progetto. Il cambiamento di opinione della Banca Mondiale ha fatto sì che i progressi del progetto si fermassero per diversi anni.
Patrick Edmond, consulente di gestione della società di consulenza strategica Africa Matters Limited, parte di J.S. Held, è scettico sul fatto che l’ultimo apparente passo avanti si riveli una svolta duratura. “Nel corso degli anni sono stati fatti diversi annunci significativi sullo sviluppo di Inga che non hanno mai dato frutti”, ci dice. “È improbabile che questo sia diverso”.
Data la complessità del progetto, le molteplici parti interessate e il prezzo di almeno 80 miliardi di dollari, non sorprende che trovare un consenso sia stato così difficile. Edmond sottolinea che “ogni iterazione del progetto è inciampata in modi leggermente diversi”.
Una filiale del gigante minerario australiano Fortescue Metals Group si è aggiudicata il contratto di costruzione di Grand Inga nel 2021, anche se si è sempre ipotizzato che perderà l’appalto a favore di rivali cinesi. Nel frattempo, Tshisekedi avrebbe corteggiato diverse possibili fonti di finanziamento e, durante la conferenza stampa con Ramaphosa, avrebbe affermato che la Banca Mondiale starebbe valutando la possibilità di rientrare nel progetto.
Se i finanziatori internazionali decideranno di appoggiare Grand Inga dipenderà in parte da considerazioni ambientali e sociali, in particolare per quanto riguarda il reinsediamento. L’ONG International Rivers ha condotto una lunga campagna contro il progetto, avvertendo che Inga 3 sfollerebbe 10.000 persone e farebbe sprofondare ulteriormente la RDC nel debito.
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