La Svizzera vuole introdurre la “Pax helvetica” in Africa

La Svizzera vuole introdurre la “Pax helvetica” in Africa

In qualità di depositario delle Convenzioni di Ginevra, la Confederazione Svizzera sente di avere una missione: promuovere la pace nel mondo offrendo con discrezione i suoi buoni uffici.

Il 6 agosto 2019 il Mozambico ha firmato uno storico accordo di pace. Filipe Nyusi, il presidente mozambicano e il leader del Fronte di Liberazione del Mozambico al potere (Frelimo), stringe la mano al suo avversario, Ossufo Momade, leader della Resistenza Nazionale del Mozambico (Renamo), davanti ai fotografi venuti ad immortalare questo evento, che mette fine a diversi decenni di conflitto.

Al loro fianco, Mirko Manzoni, l’ambasciatore svizzero nel Paese, applaude i fotografi, visibilmente contenti di aver compiuto la missione che gli spetta da tre anni, ovvero portare le varie parti al tavolo delle trattative.

Il mondo intero sta così scoprendo il ruolo svolto dalla Svizzera in Mozambico. Gli stessi svizzeri sono consapevoli di quello che Ignazio Cassis, capo del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), presente anche nella capitale mozambicana, descrive come “il più grande successo della diplomazia svizzera degli ultimi anni”.

Una solida reputazione

Non è la prima volta, infatti, che la Confederazione offre i suoi buoni uffici. Berna si è persino guadagnata una solida reputazione in questo settore, mediando in oltre 30 processi di pace che coinvolgono più di 20 paesi in tutto il mondo.

In Africa, il Mozambico fa parte di una tradizione iniziata subito dopo l’indipendenza, ai margini dei negoziati tra il governo francese e i nazionalisti algerini, che hanno portato agli Accordi di Evian nel 1962.
E’ continuata in Sudan, Burundi e Eritrea, e attualmente continua sul versante camerunese.

In qualità di depositario delle Convenzioni di Ginevra dal 1864, la Svizzera sente di avere una missione. La costruzione della pace è sempre stata un pilastro della politica estera della Confederazione ed è ancora oggi un elemento chiave della strategia del DFAE per gli anni 2021-2024,

Quasi un paradosso

E’ auasi un paradosso per un Paese che, in nome dell’eredità di Henry Dunant, fondatore del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) alla fine del XIX secolo, intende svolgere un ruolo di primo piano sulla scena mondiale, ma senza partecipare alla costruzione della comunità internazionale.

Oltre al rifiuto di aderire all’Unione Europea, la Svizzera ha aderito alle Nazioni Unite (ONU) solo nel 2002. “Questo è il compromesso meno doloroso per un Paese che si preoccupa soprattutto di preservare la propria indipendenza, che considera l’unica garanzia della propria neutralità”, spiega Alexandre Liebeskind, direttore regionale per l’Africa francofona presso il Centro per il dialogo umanitario (HD).

Berna è quindi regolarmente chiamata a trasmettere, come minimo, messaggi tra due Paesi che si ignorano ufficialmente a vicenda. Questo è stato il caso tra Cuba e gli Stati Uniti, e più recentemente tra gli Stati Uniti e l’Iran – ma senza che la Svizzera sia stata sistematicamente invitata al tavolo delle trattative per tutto questo.

Diplomazia parallela o non ufficiale

Nel corso del tempo, le autorità confederali hanno permesso che si sviluppasse una diplomazia parallela o non ufficiale – “privata”, preferisce Alexandre Liebeskind – “per pragmatismo e flessibilità”, di cui il centro Henry-Dunant (HD) è oggi una delle componenti principali.

Il Centro, chiamato Henry-Dunant al momento dell’inaugurazione nel 1999, ha da allora abbreviato il suo nome e ha abbandonato, ogni riferimento all’umanista svizzero, per meglio distinguersi dalla Croce Rossa Internazionale, elemento di spicco fra un’armata di organizzazioni, fondazioni e università, che si occupa principalmente di aiuti umanitari e allo sviluppo in tutte le sue forme.

Piuttosto che costruire la pace, Henry-Dunant preferisce , fare la pace, aggiungendo il lato politico. La sua esperienza e la sua competenza lo rendono oggi – insieme alla comunità romana di Sant’Egidio – uno dei mediatori più ricercati e apprezzati nel piccolo e discretissimo mondo dei negoziatori di pace.

Nato “dall’unione illegittima tra la Confederazione Svizzera e il CICR”, secondo un osservatore degli arcani della diplomazia oltre-Giuridica , HD non ha un legame “strutturale” con il DFAE, il Dipartimento Federale degli Affari Esteri, ma mantiene naturalmente un rapporto “naturale” con l’intera galassia svizzera della cooperazione internazionale.

In Camerun, dove HD lavora a stretto contatto con Berna, i diplomatici e gli operatori umanitari svizzeri, che a un certo punto della loro carriera hanno lavorato per la Croce Rossa o per gli Affari Esteri, si incrociano e si avvalgono della loro complementarietà e delle loro reti.

“Stiamo facendo ciò che le cancellerie ufficiali non possono permettersi di fare – come prendere contatto con persone considerate infrequentabili”, riassume Alexandre Liebeskind, per il quale i canali della diplomazia parallela saranno sempre più utilizzati dopo l’emergere dei movimenti jihadisti. E non solo in Svizzera.


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Cristiano Volpi
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